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Il social housing non è attività assistenziale

Non può ricondursi al concetto di "attività assistenziale" la messa a disposizione di alloggi a canone calmierato da parte di una ONLUS, senza una specifica attività di assistenza - che si concretizza in una serie articolata di servizi nei confronti dei soggetti svantaggiati - risultando piuttosto, una attività "residenziale". Lo chiarisce la Riposta n. 75/2024 in tema di superbonus, con indicazioni comunque valide anche in altri contesti, in specie per il raccordo con il Codice del Terzo Settore che individua tra le attività "istituzionali" anche la messa a disposizione di "alloggi sociali" come definiti, però, dal DM 22 aprile 2008.

Nel dettaglio, nel caso di messa a disposizione di alloggi a favore di categorie di soggetti ''svantaggiati'' e, in particolare, per i fini che rilevano ai sensi del comma 10bis dell'articolo 119 DL 34/2020 regolante il calcolo dei limiti di spesa del c.d. “superbonus”, per la riconducibilità delle attività di “social housing” tra quelle di ''assistenza sociale e socio sanitaria'' di cui al n.1), lettera a), comma 1 del citato d.lgs. n. 460 del 1997, occorre verificare se detta attività possa ricondotta tra quelle previste dall'articolo 10 del d.lgs. n. 460 del 1997 ed in particolare nel settore dell’assistenza sociale. Le disposizioni del d.lgs. n. 460 del 1997 non menzionano infatti espressamente tale tipologia di attività tra quelle che le ONLUS possono svolgere istituzionalmente, mentre il Legislatore, nell'ambito della riforma del Terzo settore, ha inserito all'articolo 5 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 del 2017 (CTS), tra le attività di ''interesse generale ' che gli Enti del Terzo Settore possono svolgere, uno specifico settore dedicato all'''alloggio sociale, ai sensi del decreto del Ministero delle infrastrutture del 22 aprile 2008, e successive modificazioni, nonché ogni altra attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi'' (lett. q), in aggiunta e distinto dalle altre attività nell'ambito socioassistenziale e sanitario, anch'esse specificamente individuate.

L’Agenzia osserva però che per il settore della ''assistenza sociale'', la condizione di svantaggio dei destinatari è presupposto essenziale dell'attività stessa. Ai fini dell'individuazione della situazione di svantaggio il criterio del disagio economico può concorrere con altri criteri, volti a cogliere ulteriori aspetti di disagio (in ragione di condizioni fisiche, psichiche, sociali o familiari), parimenti tutelati dal d.lgs. n. 460 del 1997. Di conseguenza “In mancanza di dette condizioni, la mera messa a disposizione di alloggi senza una specifica attività di assistenza che si concretizza in una serie articolata di servizi nei confronti dei soggetti svantaggiati, non sembra rientrare all'interno del settore di attività di cui al comma 1, lett. a), n. 1 del menzionato articolo 10”.

Peraltro, nel caso di specie la ONLUS intende avviare "una attività che definisce di ''social housing'', non regolata ai sensi del decreto del Ministero delle infrastrutture del 22 aprile 2008, destinata a talune categorie di soggetti e consistente nella messa a disposizione di alloggi ed eventuali servizi aggiuntivi connessi (quali lavanderia e pulizia) a ''canone calmierato'', senza avere declinato nel dettaglio i soggetti beneficiari, i criteri, i termini e le modalità di attribuzione del predetto alloggio, nonché i servizi di assistenza resi nei confronti dei soggetti svantaggiati, tali da poter esprimere una valutazione in merito alla natura sociale ed assistenziale della predetta attività. L'attività in questione, sostanzialmente finalizzata ad offrire alloggi mediante stipula di apposito contratto, configura quindi una attività di carattere residenziale non rientrante tra quelle ricomprese nel settore dell’ “assistenza sociale e sociosanitaria”."