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Componenti perequative TARI, la Corte Conti Autonomie risolve uno dei due problemi

La Corte dei Conti Sezione Autonomie, con delibera n. 13/2025 ha affrontato il tema delicato delle componenti perequative TARI. In particolare la Sezione ha risposto ai seguenti due quesiti:

1.se è legittimo considerare il valore incassato, anziché quello accertato, a titolo di componenti perequative TARI per ciascuna utenza quale somma complessiva da riversare a CSEA scongiurando così la circostanza in cui il Comune si troverebbe ad anticipare, sia in termini di competenza che in termini di cassa, somme in favore di CSEA senza avere la certezza dell'integrale copertura delle stesse in considerazione dell'incidenza della dubbia esigibilità di una quota parte delle entrate richieste ai fini TARI e delle possibili variazioni diminutive dei valori "bollettati' e quindi accertati, per effetto delle variazioni che potrebbero essere dichiarate da parte dei contribuenti (come consentito dal Legislatore) fino al 30 giugno dell'anno successivo a quello dell'emissione dei titoli di incasso TARI, quindi successivamente al termine del 15 marzo per il versamento a CSEA da parte dei comuni;

2.se, anche in conseguenza del criterio di contabilizzazione sopra esposto, l'imputazione delle somme registrate in entrata del bilancio comunale e derivanti dall'applicazione delle componenti perequative TARI debba avvenire tra le entrate di parte corrente del titolo terzo oppure tra le entrate in partite di giro sebbene, in questa ultima ipotesi, non trovando esatta corrispondenza tra entrata e spesa, in quanto il Comune si troverebbe ad impegnare e pagare in spesa una somma che potrebbe, seppur per una quota minima, non trovare mai opportuna copertura tra le scritture di cassa in entrata corrispondenti.


La Sezione Autonomie ha evidenziato:

occorre dichiarare l’inammissibilità del primo quesito: come evidenziato da questa Sezione (deliberazione n. 24/SEZAUT/2019/QMIG), la funzione consultiva «non può in alcun modo interferire e, meno che mai, sovrapporsi a quella degli [altri] organi giudiziari» competenti. Pertanto, il criterio del quantum debeatur (criterio dell’accertato o della cassa) dell’obbligazione di riversamento attenendo una questione di diritto sostanziale che si colloca a monte della rappresentazione contabile, essa deve essere risolta, in via normativa ed applicativa, da ARERA e CSEA, le cui determinazioni possono diventare oggetto di contesa giudiziaria potenzialmente dinanzi a giudici diversi dalla Corte dei conti. Più nel dettaglio si tratta di questione che attiene al merito della “transazione” sottostante (All. 4/2, § 1, d.lgs. n. 118/2011) alla rappresentazione contabile: pertanto, essa non incide direttamente sulla questione del “se” o del “come” debbano essere garantiti gli equilibri, la copertura e il rispetto delle norme contabili a ciò orientate. Ed infatti, tale esigenza può essere assicurata con le cautele contabili sopra esposte, nel rispetto del principio della contabilità finanziaria potenziata, senza chiamare in causa la questione del criterio di quantificazione dell’obbligazione di riversamento.

Per quanto riguarda il secondo quesito, che, al contrario, attiene proprio al tema della corretta rappresentazione contabile delle “transazioni”, bisogna ricordare che l’imputazione di una posta nel “conto terzi” del bilancio costituisce un’eccezione legale all’obbligo costituzionale di copertura e di equilibrio. Si tratta, come è noto, di precetti intrinsecamente collegati nel nuovo quadro costituzionale ed espressione di un’unica clausola generale (C. cost., sent. 192/2012, n. 60/213 e giurisprudenza costante successiva) che si impone al legislatore ordinario ed all’interprete. Il “conto terzi”, più nel dettaglio, solleva dalla copertura della spesa perché consente l’iscrizione di poste che automaticamente pareggiano, in entrata e spesa, nella presupposizione legale che gli oneri di copertura sono assolti da altro soggetto, in quanto ad esso si ascrive la funzione che genera spesa. L’eccezione, come emerge chiaramente dall’Allegato 4/2, § 7, d.lgs. n. 118/2011, riguarda casi in cui l’Ente agisce come mero “esecutore di spesa” di altro Ente, privo di discrezionalità decisionale (in quanto la titolarità della funzione, e quindi l’onere di spesa, è di altro ente). Fatta questa premessa, il secondo quesito deve essere risolto nel senso che non è possibile un’imputazione in conto terzi degli accertamenti per le componenti perequative e della spesa di riversamento, con conseguente necessità dell’Ente di vigilare costantemente sulla copertura della spesa, cui la componente perequativa è destinata, e sugli equilibri prospettici connessi. Contro la possibilità di una eccezionale imputazione in conto terzi, infatti, si frappongono le seguenti evidenze normative. La spesa per la raccolta dei rifiuti accidentalmente pescati è in primo luogo “assimilata”, per legge (art. 2, commi 2, 7 e 8 della l. n. 60/2022), a quella dei rifiuti urbani; costituisce pertanto funzione propria e fondamentale dei Comuni (art. 14, comma 27, lett. f) del d.l. n. 78/2010). L’onere di copertura, di conseguenza, è del singolo Comune che peraltro, in ragione dello svolgimento di un servizio indivisibile, ottiene successivamente un rimborso, finanziabile attraverso una provvista solidaristica formata e intestata a CSEA, che detiene dei conti specifici su cui refluiscono i fondi raccolti da parte di tutti i comuni (e non utilizzati). L’obbligazione di riversamento, pertanto, è una obbligazione successiva ed eventuale, ossia una passività potenziale che si trasforma in debito ovvero in credito nell’anno successivo. Il Comune, quindi, non è esecutore di spesa per conto di CSEA, ma deve adempiere ad un onere proprio il cui costo, tuttavia, viene successivamente rimborsato sulla base di un meccanismo solidaristico che presuppone una contabilità analitica e la rendicontazione separata di risorse ed impieghi utilizzati e sostenuti. Attraverso questa contabilità è possibile ottenere un rimborso nell’anno “a+1”, fermo restando il dovere del Comune di provvedere alle spese con il proprio bilancio, nell’anno “a”. In secondo luogo, è CSEA, piuttosto, ad agire per conto dei Comuni che hanno sostenuto spese per rifiuti marini e non il contrario, alla stregua di un mandatario collettivo per legge, che svolge un servizio pubblico di tipo finanziario a scopo solidaristico. L‘ordinamento, infatti, ha optato per la creazione di un soggetto interposto che si sostituisce, a scopo solidaristico, nella gestione della provvista finanziaria per adempiere alle proprie obbligazioni.

Si è quindi in presenza di obbligazioni iure proprio ma nettamente distinguibili, prima tra il Comune e cittadini e poi tra Comune e CSEA. Ciò emerge anche dal fatto che, nel caso del riversamento, le obbligazioni sottostanti, in entrata e spesa, sono diverse per oggetto. Esse, infatti – come dimostra l’art. 6 dell’Allegato A della deliberazione ARERA n. 386/2023 – non sono necessariamente simmetriche per importi, in quanto la spesa di riversamento nell’anno “a+1” (debito) può consistere in un importo nettato dai costi effettivamente sostenuti o addirittura trasformarsi in un diritto al rimborso (credito, cfr. art. 6.3, 6.4, Allegato A della deliberazione ARERA 386/2023, similiter per il caso delle autorità portuali, cfr. art. 6.8). Infine (e di conseguenza), l’inadempimento degli obblighi di versamento espone direttamente il patrimonio dell’Ente a responsabilità, sia nella forma degli interessi moratori che nella forma dell’eccezione di inadempimento e sospensione del diritto al rimborso (art. 6.6 e 6.7 Allegato A della deliberazione ARERA 386/2023). Ciò costituisce evidenza che il patrimonio di ciascun Comune è esposto, iure proprio a responsabilità per l’adempimento di obbligazioni e funzioni proprie. Alla luce di ciò, il secondo quesito va risolto affermando che si possono imputare in conto terzi gli accertamenti relativi alle componenti perequative e alla spesa di riversamento. Di conseguenza, l’Ente deve assicurare la copertura effettiva di tali spese e mantenere l’equilibrio finanziario. I Comuni, infatti, non agiscono come esecutori per conto di CSEA, ma sono titolari di una funzione fondamentale (ai sensi dell’art. 14, comma 27, lett. f), d.l. n. 78/2010) e devono coprire con il proprio bilancio le spese nell’anno in cui si verificano (anno “a”), potendo successivamente richiedere il rimborso (anno “a+1”).


Le conclusioni della Corte dei Conti Sezione Autonomie sono le seguenti:

La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, pronunciandosi sulla questione di massima posta dalla Sezione regionale di controllo per le Marche con deliberazione n. 49/2025/QMIG, enuncia i seguenti principi di diritto:

1.«il quesito sul criterio di quantificazione dell’obbligo di riversamento a CSEA (per cassa per competenza) è inammissibile in quanto incide sulla determinazione del quantum debeatur dell’obbligazione di riversamento, presupposta rispetto alla rappresentazione contabile e suscettibile di generare contenziosi di competenza di altre magistrature;

2.le somme derivanti dalle componenti perequative TARI vanno imputate nel bilancio comunale tra le entrate di parte corrente; l’obbligo di riversamento, in quanto obbligazione propria del Comune, non costituisce una partita in conto terzi e deve essere regolato a carico della parte corrente del bilancio».


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