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Equo compenso e Nuovo Codice Appalti

Con sentenza n. 632/2024 del 3 marzo la Sezione Terza del TAR Veneto, pur decidendo in merito ad una fattispecie concreta a cui era applicabile ratione temporis la disciplina del precedente codice dei contratti pubblici, ha provveduto a tracciare un primo solco interpretativo sul rapporto tra la legge n. 49/2023 (“Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”) e la nuova disciplina del D.lgs. 36/2023 (“Codice dei contratti pubblici in attuazione dell'articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici”) coerente con le norme in materia di concorrenza e con la disciplina europea.

Il Collegio ha in primo luogo escluso un’antinomia tra la normativa sull’equo compenso ed il Codice degli Appalti sottolineando che “l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici”, infatti, il legislatore con l’intento di tutelare i professionisti intellettuali nei rapporti contrattuali con contraenti forti “ha espressamente previsto l’applicazione della legge anche nei confronti della Pubblica Amministrazione e ha riconosciuto la legittimazione del professionista all’impugnazione del contratto, dell’esito della gara, dell’affidamento qualora sia stato determinato un corrispettivo qualificabile come iniquo ai sensi della stessa legge”.

Il Tar rileva, inoltre, che “non a caso, l’art. 8, d.lgs. n. 36/2023, oggi prevede che le Pubbliche Amministrazioni, salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente, devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale” e che la normativa contenuta nella legge 49/2023 deve essere applicata anche ove l’appalto sia regolato dal previgente D.lgs. n. 50/2016, altrimenti, “l’intervento normativo in questione risulterebbe privo di reale efficacia sul mercato delle prestazioni d’opera intellettuale qualora il legislatore avesse inteso escludere i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione che, nel mercato del lavoro attuale, rappresentano una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per la prestazione di tale tipologia”.

Il Collegio ritiene, altresì, “che sia comunque applicabile, anche successivamente all’entrata in vigore della legge n. 49/2023, il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo”, infatti, “mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti pubblici (nel caso in esame, del d.lgs. n. 50/2016, ma il ragionamento è analogo anche con riguardo al d.lgs. n. 36/2023) si può affermare che il compenso del professionista sia soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”, osservando che “il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa” ed essendo il compenso, come detto, una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, è fatta salva dalla possibilità per l’operatore economico di formulare l’offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.

Detta conclusione, assicura la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi (Codice dei Contratti e disciplina sull’equo compenso) e consente di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea.