IMU: enti ecclesiastici e immobili con uso promiscuo
Con sentenza n. 20/2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7, terzo comma, dell’Accordo firmato il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense sottoscritto l’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, sezione prima, con l’ordinanza del 22 gennaio n. 50/2024 (G.U.n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2024).
I fatti vedono la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, sezione prima, sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 «nella parte in cui riferendosi ad immobile esclusivamente utilizzato per finalità religiose non consentirebbe lo scorporo delle superfici adibite ad attività diverse».
Nello specifico, il giudice impegnato in sede di rinvio, si trova ad dover esaminare una controversia tra l’Ente impositore e un Seminario vescovile, relativamente all’imposta comunale sugli immobili (ICI) su un fabbricato di proprietà dell’ente ecclesiastico che, originariamente era destinato in esclusiva alla formazione del clero, ma successivamente era stato in parte adibito a liceo classico parificato e in parte in locazione a due società (parte destinata ad attività produttiva di reddito).
L’Ente impositore ha ripreso la tassazione per l’intero immobile catastalmente unitario, emettendo avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2005-2011, i quali avvisi, a seguito di impugnazione da parte del Seminario vescovile, sono stati annullati limitando il recupero dell’imposta solo alla porzione dell’immobile locato (Corte di giustizia tributaria di primo grado di Novara).
Nel secondo grado di giudizio, l’appello del Comune è stato accolto con due sentenze della Corte di giustizia tributaria di Torino per la parte adibita a liceo;
Successivamente la Corte di Cassazione, sezione tributaria, con ordinanze 8 febbraio 2023, n. 3826, e 16 febbraio 2023, n. 4923, ha annullato le sentenze di appello, con rinvio, sul presupposto che solo il frazionamento catastale, avvenuto nel 2012, ha identificato la quota titolata all’esenzione d’imposta.
Dunque, il giudice interessato del rinvio, ritiene che la norma determinerebbe l’imposta ICI anche sulle porzioni immobiliari destinate ad attività religiosa. Sarebbe quindi, violato l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7, terzo comma, dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, il quale escluderebbe «ogni imposizione tributaria per le attività religiose degli enti ecclesiastici».
Secondo la Corte Costituzionale, il giudice (chiamato al rinvio) “non si misura con il fatto che l’immobile per il quale prospetta la necessità costituzionale dell’esenzione d’imposta versava in una di quelle «situazioni ibride» – cioè di uso promiscuo, anche commerciale, pur nella perdurante unitarietà catastale – rispetto alle quali le istituzioni dell’Unione europea hanno concordemente ritenuto integrata una violazione del divieto di aiuti di Stato.
Ancora, l’ordinanza di rimessione non mette a fuoco un aspetto essenziale dell’evoluzione normativa inerente alle condizioni dell’esenzione d’imposta.
Nella transizione dall’ICI all’IMU, il regime agevolativo per gli enti non commerciali ha registrato un importante cambiamento proprio riguardo alla tassazione degli immobili ad uso promiscuo, in quanto l’art. 91-bis, comma 2, del d.l. n. 1 del 2012, come convertito, per le unità immobiliari a «utilizzazione mista», ha stabilito che l’esenzione compete solo per la «frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale», purché «identificabile attraverso l’individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività».
Per il caso d’impossibilità di procedere in tal modo, cioè attraverso frazionamento catastale, il medesimo art. 91-bis, comma 3, ha disposto che «l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione», da rendere in conformità a un emanando decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, ovvero il d.m. del 19 novembre 2012, n. 200 (Regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 91-bis, comma 3, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 e integrato dall’articolo 9, comma 6, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174).
Il rimettente non considera che, anche prima di tale modificazione normativa, che ha formalizzato il relativo onere, il frazionamento catastale di un immobile a uso promiscuo, unitariamente classato, avrebbe potuto essere operato dal contribuente proprio al fine di rendere fiscalmente autonoma la porzione destinata in via esclusiva all’attività esente, onde accedere, per essa, al beneficio tributario.
L’innovazione precipua del regime IMU riguarda l’ipotesi in cui l’immobile a uso promiscuo non sia catastalmente frazionabile, ipotesi nella quale l’esenzione d’imposta, anziché perdersi del tutto come nel regime ICI, viceversa si conserva, per effetto della dichiarazione regolamentare, in proporzione all’utilizzo agevolato (Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanze 14 febbraio 2023, n. 4567, e 15 dicembre 2020, n. 28578).
La mancata valutazione di tale aspetto normativo porta il rimettente a non chiarire se il fabbricato del Seminario vescovile XXX , frazionato con variazione DOCFA nel febbraio 2012, fosse tecnicamente frazionabile anche prima, sì da consentire, già in regime ICI, quello «scorporo delle superfici» la cui possibilità si vorrebbe fare discendere dall’accoglimento della questione.