La disciplina dei “servizi legali” a seguito dell’introduzione del Nuovo Codice Appalti (D.lgs. 36/2023)
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2776/2025 del 2 aprile si è occupato della natura dei contratti relativi c.d. “Sevizi legali” dell’applicazione della comunicazione CIG, del contributo e della vigilanza ANAC, nonché, il rapporto tra prestazione di opera professionale per incarichi saltuari e l’appalto per incarichi continuativi e organizzati.
Tra i vari motivi di gravame l’appallante lamenta che “il giudice di primo grado avrebbe ritenuto applicabile la comunicazione CIG anche ai patrocini legali che, in quanto contratti di prestazione d’opera, sarebbero “estranei” alla disciplina del codice dei contratti pubblici”, ed in proposito il Collegio giudicante ha osservato che “la categoria dei contratti “estranei” non esiste, essendo contemplata soltanto quella dei contratti “esclusi” ossia quegli appalti pubblici tra cui anche i servizi legali che, ai sensi dell’art. 56 del decreto legislativo n. 36 del 2023, sono sottratti dagli obblighi di evidenza pubblica (affidamento mediante gara) e che “l’obbligo di “evidenza pubblica” riguarda in ogni caso il procedimento da applicare per individuare il soggetto chiamato a contrarre con la PA. A tale ultimo fine, infatti, l’art. 3 dell’Allegato I.1. al decreto legislativo n. 36 del 2023 prevede sia la procedura di evidenza pubblica, sia l’affidamento diretto. Entrambe le procedure sono poi dirette alla stipula finale di un contratto di “appalto pubblico”, ossia quei “contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più stazioni appaltanti e aventi per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi” [art. 2, comma 1, lettera b), del citato Allegato I.1.]”.
Da ciò il giudice d’appello fa discendere che “quale che sia la procedura adottata per l’individuazione del contraente (evidenza pubblica o affidamento diretto), il contratto successivamente stipulato va comunque considerato alla stregua di “appalto pubblico”. E ciò dal momento che, con esso, la PA persegue un “fine pubblico” ossia una utilità collettiva che può variamente atteggiarsi in funzione delle specifiche esigenze dell’ente che rappresenta quella stessa comunità” e detto “fine pubblico” conferisce natura pubblicistica al relativo contratto.
Il Collegio evidenzia poi che nella medesima direzione è possibile rilevare come art. 56 del Nuovo Codice dei Contratti (D.lgs. 36/2023) qualifica i servizi legali “alla stregua di “appalti pubblici” (cfr. comma 1, primo periodo) sebbene “esclusi” dai suddetti obblighi di “evidenza pubblica”. Ciò anche in forza della legislazione comunitaria la quale non distingue – ricomprendendole in un’unica generale nozione di appalto pubblico di servizio legale – tra singola difesa in giudizio e attività di consulenza legale, prescindendo dalla nozione civilistica nazionale e attraendo anche negozi qualificabili come contratto d’opera o contratto d’opera intellettuale”.
A ciò si deve aggiungere che “la comunicazione CIG è strumentale al monitoraggio dei flussi finanziari cui è soggetta ogni tipo di transazione che effettua la PA. Come correttamente evidenziato da ANAC nelle impugnate linee guida: “Detta normativa si applica … in ogni caso in cui vengano erogate risorse pubbliche per l’esecuzione di contratti pubblici, a prescindere dallo svolgimento di una procedura di gara” (paragrafo 2.1. “Soggetti tenuti all’osservanza degli obblighi di tracciabilità”)” e, pertanto, poiché i “movimenti finanziari” debbono formare oggetto di monitoraggio in relazione a tutti gli appalti pubblici, e poiché i “servizi legali” sono da considerare alla stregua di “appalti pubblici” (sebbene sottratti alla procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente), va da sé che anche tali contratti di “servizi legali” siano soggetti alla suddetta comunicazione CIG.
Successivamente il Consiglio, ricordando al distinzione tra la tipologia e natura dei contratti che può stipulare la PA e le procedure che la stessa può esperire per addivenire alla scelta del contraente, osserva che “anche l’affidamento di tali servizi legali comporta la stipula di un contratto di appalto pubblico sia che si tratti di prestazione d’opera professionale per incarichi periodici e saltuari, sia che si tratti di appalto di servizi in senso stretto per incarichi continuativi ed organizzati: nel primo caso (incarico saltuario ed occasionale) per la scelta del relativo contraente privato la PA non sarà tenuta, sul piano procedimentale, al rigoroso rispetto delle regole di evidenza pubblica ma soltanto ad osservare alcuni principi in tema di “accesso al mercato” (art. 3 del codice dei contratti); nel secondo caso (servizi legali continuativi svolti in forma organizzata) occorrerà seguire le procedure competitive a carattere semplificato o “alleggerito” di cui all’art. 127 del codice”.
Infine, in merito al versamento del contributo ad ANAC il Consiglio di Stato evidenzia che esso costituisce una mera conseguenza del fatto che anche i “contratti esclusi” - come quelli relativi ai servizi legali - sono comunque soggetti alla vigilanza dell’Autorità ai sensi dell’art. 222, comma 3, D.lgs. 36/2023 e da ciò emerge che sussista “una solida base normativa primaria affinché ANAC possa pretendere il versamento del contributo anche in relazione a simili contratti di appalto (servizi legali)”.
In conclusione, i contratti di appalto per servizi legali, pur sottratti dagli obblighi di evidenza pubblica rientrando nei c.d. “contratti esclusi”, e a prescindere dalla modalità di scelta del contraente, dovranno comunque essere stipulati in conformità alla disciplina prevista per i contratti di appalto pubblici e sottoposti alla vigilanza di ANAC con tutto ciò che ne consegue.