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Recupero delle maggiori somme confluite nel fondo risorse decentrate

La Corte dei Conti Veneto ha affrontato con delibera n. 66/2020 quesito posto da ente locale inerente la materia della "spesa del personale", limitando il quesito formulato alla fattispecie del recupero delle maggiori somme confluite indebitamente nel fondo per le risorse decentrate. In particolare, qualora l'Amministrazione intenda procedere mediante la rinuncia a capacità assunzionali, come previsto dall'articolo l, commi 226 e 228, della legge n. 208/2015, il Comune istante ha chiesto se sia corretto poter usufruire dell'importo derivante da tale rinuncia per più annualità, atteso che l'utilizzo delle capacità assunzionali, riguardando appunto nuove assunzioni, ha effetti non limitati ad una sola annualità, determinando una spesa che si ripete anche per gli anni successivi.

I magistrati contabili hanno rilevato, in sintesi, quanto segue:

"Allo scopo di recuperare risorse finanziarie nei limiti di quanto erogato impropriamente in eccesso in anni precedenti, dunque e nei limiti di legge, il tetto di spesa annuale destinato alle assunzioni può essere, in tutto o in parte, utilizzato per il ripiano dei fondi per la contrattazione integrativa decentrata costituiti in eccesso. L’eventuale quota residua può, invece, continuare a finanziare assunzioni di personale, nel medesimo esercizio o in anni successivi, entro i limiti quantitativi e temporali delle facoltà di utilizzo dei c.d. "resti", quali stabilite dall’art. 3, comma 5, quarto periodo, del decreto legge n. 90/2014.

L’effettività del recupero finanziario deve essere, altresì, garantita dalla rinuncia (anche solo parziale) o dal differimento di ogni tipologia di assunzione che non impegni, esclusivamente, le quote annuali di turn over.

La citata deliberazione della Sezione Liguria evidenzia, tra l’altro, che "Ove così non fosse, l’esigenza di garantire un effettivo recupero di carattere finanziario sarebbe frustrata dalla parallela effettuazione di assunzioni di personale mediante la c.d. mobilità, che, in aderenza all’esposto comma 47 della legge finanziaria n. 311/2004, non incidono sui contingenti assunzionali individuati dal comma 228 della legge n. 208/2015."

Quanto alla rinuncia alla capacità assunzionale, ovvero, all’utilizzo dei residui assunzionali si ribadisce che questi devono essere calcolati in base alle ordinarie regole vigenti. Nello specifico, conformandosi a quanto già espresso dalla Sezione delle Autonomie con deliberazione n. 25/SEZAUT/2017/QMIG, i cui principi sono stati ripresi da questa Sezione con successiva deliberazione n. 181/2018, non si possono che confermare i seguenti principi:

- la determinazione della capacità assunzionale costituisce il contenuto legale tipico della facoltà di procedere ad assunzioni, potenzialmente correlata alle cessazioni dal servizio, costitutiva di uno spazio finanziario di spesa nei limiti dei vincoli di finanza pubblica;

- la quantificazione effettiva della capacità assunzionale al momento dell’utilizzazione deve essere determinata tenendo conto della capacità assunzionale di competenza, calcolata applicando la percentuale di turn over utilizzabile secondo la legge vigente nell’anno in cui si procede all’assunzione e sommando a questa gli eventuali resti assunzionali;

- i resti assunzionali sono rappresentati dalle capacità assunzionali maturate e quantificate secondo le norme vigenti ratione temporis dell’epoca di cessazione dal servizio del personale ma non utilizzate entro il triennio successivo alla maturazione. Detta quantificazione rimane cristallizzata nei predetti termini.

In tema di resti e capacità assunzionali, inoltre, la Sezione delle Autonomie si è, di recente, ulteriormente, espressa con la deliberazione n. 17/2019/QMIG, dove è stato evidenziato che, ai fini della determinazione del budget assunzionale da parte degli enti, particolare rilievo assume l’obbligo di programmazione dei fabbisogni di personale, tramite il piano triennale (PTFP). L’art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, infatti, stabilisce che "Allo scopo di ottimizzare l'impiego delle risorse pubbliche disponibili e perseguire obiettivi di performance organizzativa, efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini, le amministrazioni pubbliche adottano il piano triennale dei fabbisogni di personale, in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività e della performance, nonché con le linee di indirizzo emanate ai sensi dell'articolo 6 ter.

Qualora siano individuate eccedenze di personale, si applica l'articolo 33. Nell'ambito del piano, le amministrazioni pubbliche curano l'ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale, anche con riferimento alle unità di cui all'articolo 35, comma 2. Il piano triennale indica le risorse finanziarie destinate all'attuazione del piano, nei limiti delle risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente".

La norma de quo evidenzia, inequivocabilmente, la volontà del legislatore di attuare un efficiente sistema di coordinamento (ciclo) tra la programmazione del fabbisogno di personale, la performance dell’amministrazione e la pianificazione pluriennale delle attività, al fine di razionalizzare e ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche secondo i principi, efficienza, economicità e qualità dei servizi. Il riferimento alle risorse destinate all’attuazione del piano viene effettuato con riguardo alle "risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente".

Preso atto del periodo di riferimento per il calcolo dei resti assunzionali di cui all’articolo 3, comma 5, del D.L. n. 90/2014, che con la recente modifica introdotta dall’articolo 14- bis, comma 1, lett. a), del D.L. n. 4/2019, passa da un triennio ad un quinquennio, dunque, non può che desumersi che tramite il comma 228, art. 1, della legge n. 208/2015, il legislatore abbia inteso porre dei limiti al c.d. turn over per il personale non dirigenziale,  più stringenti rispetto a quelli dell’articolo 3, comma 5, del D.L. n. 90/2014, delineando un budget di spesa ridotto, pari al 25% di quella relativa al personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale, cessato nell’anno precedente.

Anche se detta norma impone, per il solo triennio 2016-2018, limiti più stringenti alle assunzioni di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale, può ancora incidere, rispetto al triennio 2019-2021, sul quantum di spesa disponibile, ai fini della determinazione dei resti assunzionali, che l’ente potrà utilizzare, nel rispetto della previsione generale di cui all’articolo 3, comma 5, del D.L. n. 90/2014 (che, al contrario, non pone alcuna distinzione tra personale dirigenziale e non dirigenziale) e della programmazione dei fabbisogni di personale, ex articolo 6 del d.lgs. n. 165/2001.

Concludendo, alla luce delle richiamate normativa e giurisprudenza, questa Sezione ritiene che, in merito alla rinuncia alla capacità assunzionale, ovvero, all’utilizzo dei c.d. resti, al fine del recupero delle maggiori somme confluite indebitamente nel fondo integrativo per il salario accessorio (contratto decentrato), il calcolo debba essere calcolato nel rispetto dei principi enunciati, in base alle ordinarie regole vigenti rappresentate