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Responsabilità degli amministratori per l’inerzia sugli squilibri finanziari

La Corte dei Conti Toscana sezione giurisdizionale, con Sentenza n. 90/2025, ha condannato gli amministratori comunali per il danno procurato dalla mancata tempestività di intervento sulla situazione di squilibrio finanziario del Comune che ha poi causato il dissesto.

I magistrati rilevano che anche l'inerzia – o l'intervento inadeguato – a fronte della situazione di squilibrio, tale da aggravarne l'entità, sì da rendere inevitabile il dissesto, costituisce condotta causativa integrante la fattispecie sanzionata; né rileva che questa sia configurabile come “mera” concausa e non come prima causa del dissesto dell'Ente, sanzionando il legislatore non la determinazione, bensì anche il contributo, al verificarsi del dissesto (in termini, da ultimo, Sez. giur. Calabria ord. n. 22/2025; Sez. App. Sicilia n. 106/2024).

Proprio tale tipo d'omissione pesantemente colposa deve, quindi, essere ascritto ai ricorrenti che, pur a fronte di precisi obblighi d'intervento, in applicazione delle regole previste dal legislatore nel TUEL, hanno ritenuto di non agire in senso a ciò conforme.

Non si contesta, in questa sede, la decisione di non aver intrapreso il percorso del piano di riequilibrio in quanto tale, né tale contestazione deve rinvenirsi nella motivazione del decreto opposto. È, infatti, chiara a questo Collegio – come anche al Giudice monocratico, che espressamente ha trattato tale profilo – la piena discrezionalità da riconoscersi all'Ente circa tale valutazione e che deve “ escludersi che vi sia un favore del legislatore, inteso quale obbligo preferenziale, nei confronti dell'una procedura (in particolare del PRFP), rispetto all'altra (il dissesto). Non vi è, anzi, nessun percorso obbligato in base al quale il ricorso al dissesto sarebbe solo in caso di fallimento del PRFP. tratta viceversa di due rimedi alternativi ” (Sez. giur. Abruzzo n. 280/2021).

Ciò che rileva è, come chiarito nel provvedimento opposto, che “ per il risanamento di disavanzi che non possono essere risolti in archi temporali coincidenti con il triennio di gestione del bilancio, il legislatore appronta strumenti di natura straordinaria funzionali a governare le azioni di risanamento che superano l'orizzonte temporale del mandato amministrativo ”; da ciò consegue l'obbligo giuridico degli amministratori " di assicurare che il ripiano del disavanzo, in quanto esorbitante la durata del loro mandato, si incanalasse in una delle due strade previste, per questi casi, dall'ordinamento, e cioè il piano di riequilibrio o il dissesto. Restando inerti per due consiliature hanno aggravato la situazione dell'ente, sottraendolo alla disciplina specificamente prevista dall'ordinamento per la soluzione delle crisi strutturali, ed hanno affidato all'amministrazione il successivo compito di far fronte al disavanzo irrisolto, lasciando che fosse quest'ultima a scegliere la strada ritenuta più congrua ”.

Non può che convenirsi, quindi, con il decreto opposto ove afferma che le difese degli attuali ricorrenti “ non sono dirimenti, ma evidenziano, piuttosto, come l'amministrazione, insediatasi nel 2009 con una situazione economico-finanziaria già grave, abbia sostanzialmente usufrutto di un temporale arco decennale per il risanamento del comune, senza, tuttavia, riuscire a superare la crisi e senza, d'altro canto, avviare i necessari rimedi previsti dall'ordinamento, almeno dal 2012, per il ripiano dei disavanzi non ripianabili con i mezzi ordinari ”.

Gli amministratori avrebbero, pertanto, dovuto assicurare un maggiore sforzo di diligenza e di attenzione nelle scelte gestorie, per ricercare soluzioni volte a garantire e salvaguardare quegli equilibri di bilancio, contabili e finanziari, dell'ente e scegliere, tra le diverse opzioni possibili, quella più rispondente ad una prudente gestione (in termini Sez. giur. Molise n. 35/2025; Sez. giur. Umbria n. 84/2022).