Rimborso spese legali negato anche in caso di assoluzione
La Corte di Cassazione con Sentenza n. 8683/2025 ha rilevato che la tutela legale del dipendente e quindi il rimborso delle relative spese per i procedimenti sussiste solo in caso di insussistenza, da valutarsi “ex ante”, di un genetico ed originario conflitto di interessi, che permane anche in caso di successiva assoluzione del dipendente.
Reputa il Collegio di ribadire – per finalità di nomofilachia – (v. da ultimo Cass. n. 4539 dell’11 febbraio 2022) che l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di farsi carico delle spese necessarie per assicurare la difesa legale al dipendente, pur se espressione della regola civilistica generale di cui all’art. 1720, comma 2, cod. civ., non è incondizionato e non sorge per il solo fatto che il procedimento di responsabilità civile o penale riguardi attività poste in essere nell’adempimento di compiti di ufficio (v. Cass., Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cass. 27 settembre 2016, n. 18946; Cass. 4 luglio 2017, n. 16396).
L’assoluzione, ancorché con la formula ‘piena’, non legittima il richiesto rimborso non risolvendo ex post il conflitto di interessi, in quanto l’indicata formula non consente di ricondurre alla pubblica Amministrazione e ai suoi fini istituzionali l’attività penalmente rilevante che è stata contestata.
Il principio è stato ribadito da questa Corte, secondo il cui orientamento se l’accusa è quella di aver commesso un reato che contempli l’ente locale come parte offesa (e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi), il diritto al rimborso non sorge affatto, escludendo dunque che esso emerga solo nel momento in cui il dipendente sia stato, in ipotesi, assolto dall’accusa (v. Cass. 2475 del 2019; Cass. n. 18256 del 2018; in termini anche Cass., S.U., n. 13048 del 2007).