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Il rafforzamento industriale deve tenere conto dell’interesse pubblico sotteso alla scelta partecipativa

Chiamata ad esprimersi ex art. 5 co. 3 e 4 del D.lgs. 175/2016 su un’operazione di aumento di capitale riservato al socio privato di una società a controllo pubblico, da attuarsi mediante conferimento in natura di nuova partecipazione in una società indiretta, da quest’ultimo recentemente costituita, con contestuale modifica dello statuto societario, la Corte dei Conti Emilia-Romagna, con delibera n. 105/2025/PASP e seguenti, ha espresso parere negativo ravvisando diversi profili di criticità, tra cui:

  • assenza di una motivazione analitica sufficiente a dimostrare la necessità dell’acquisizione per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ente nonché la convenienza economica dell’operazione;
  • mancata valutazione comparativa che illustri la necessità della scelta rispetto a soluzioni alternative;
  • assenza di procedura a doppio oggetto per la modifica sostanziale della composizione delle partecipazioni e della governance della società, nonché per nuovi affidamenti, diversi da quanto definito nella gara iniziale;
  • perdita del controllo gestionale da parte dei soci pubblici a seguito del riconoscimento al socio privato di poteri gestionali tanto rilevanti da spostare sullo stesso la direzione ed il coordinamento della società attualmente a controllo pubblico;
  • mancata considerazione dell’impatto dell'operazione sulla forma di gestione del servizio d'ambito per cui si renderebbe necessario l’intervento dell’ente di governo ai sensi dell’art. 149-bis, c. 1, D. Lgs. 152/2006.

In particolare, secondo la Corte in esito al percorso prospettato vi sarebbe una ridefinizione sostanziale degli equilibri tra soci pubblici e privati della società a controllo pubblico, con effetti rilevanti sulla governance della stessa e con potenziali riflessi sulla possibilità di tutelare concretamente gli interessi pubblici sottesi alla scelta partecipativa ciò in quanto “l’operazione prospettata dal Comune produrrebbe, in definitiva, l’effetto di cedere la direzione e la gestione di una Società a controllo pubblico ad un soggetto privato. In buona sostanza, a fronte dell’impiego di risorse della collettività, i soci pubblici rinunzierebbero a quei poteri gestionali e di controllo tali da assicurare il perseguimento del fine pubblico di cura degli interessi delle comunità amministrate, per favorire il contrapposto fine di lucro del Socio privato, in un contesto di illegittimità e di deviazione rispetto a quanto espressamente disposto dal TUSP e a quanto chiarito dalla riferita giurisprudenza della Corte dei conti.”