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TARI: aree collegate all'attività produttiva

La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 11476 del 01/05/2025, ha ribadito l’esclusione dall’imposta delle aree in cui si producono, in via prevalente e continuativa, rifiuti speciali e che tali aree siano funzionalmente ed esclusivamente collegate all’attività produttiva.

Già precedentemente, la stessa Corte aveva chiarito che “per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene (…) conto della parte dell’area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all'esercizio dell'attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili, fermo restando l'assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi” (così v. Cass. n. 18689/24 con richiamo, tra le altre, a Cass., Sez. 5, del 28/03/2023, n. 8753 e n. 8754; Cass., Sez. 5, del 30/03/2023, n. 9032).

Nel caso in esame, una società aveva impugnato la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado che aveva rigettato il ricorso per l’annullamento dell’avviso di pagamento della TARI, relativa agli anni 2012-2017, in relazione all’assoggettamento al tributo anche dei magazzini strumentali.

I giudici, richiamata la giurisprudenza di legittimità, avevano ritenuto esenti dal tributo i locali dell’opificio industriale, considerando invece assoggettabili i magazzini e gli uffici, in quanto da qualificarsi come aree operative generiche, come tali non legittimanti l’esonero.

La contribuente, dal canto suo, contestava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 649 della l. 147 de 2013 in relazione all’affermata assoggettabilità a tributo delle aree adibite a magazzini strumentali alla produzione.

Da quanto affermato dai giudici, a dire della contribuente, sembrerebbe che non si possa ritenere mai applicabile l’esclusione dall’assoggettabilità a tassazione di cui all’art. 1 comma 649 della l. 147 del 2013. Ella ricorda che la disposizione, come modificata dall’art. 2, comma 1 della l. 68 del 2014, stabilisce all’ultimo periodo che “il Comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali non si estende il divieto di assimilazione”, il che impone di estendere il medesimo divieto alle aree funzionalmente collegate alle zone produttive esentate, quali sono appunto i magazzini intermedi di produzione e quelli di stoccaggio di prodotti finiti, in quanto produttivi di rifiuti speciali.

A tal proposito, si richiama la risoluzione n. 2/DF del MEF. Invero, la disposizione di cui all’art. 1 comma 649 della l. 147 del 2013, ultima parte, va letta con quella contenuta nella prima parte secondo cui “nella determinazione della superficie assoggettabile alla TA.RI. non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via prevalente e continuativa, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”. Sicché, in considerazione del verificarsi della condizione della produzione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali, anche i magazzini intermedi di produzione e quelli adibiti allo stoccaggio debbono essere esentati dal tributo.

L’art. 1, comma 649 cit., infatti, secondo la risoluzione del Ministero, va letto ‘nel senso di consentire una tassazione più equilibrata e più rispondente alla reale fruizione del servizio, evitando l’applicazione della TARI nella situazione in cui il presupposto del tributo non sorge, come nel caso delle superfici utilizzate per le lavorazioni industriali o artigianali, ove si formano in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali’ con la precisazione che ‘ovviamente, nel rispetto della norma, l’esclusione dalla tassa avviene a condizione che i produttori di rifiuti speciali ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente’.

La Suprema Corte ha ritenuto, nelle proprie motivazioni, di partire dal testo della disposizione di cui all’art. 1, comma 649 della l. 147 del 2013, ove si prevede che “Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione. Al conferimento al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani di rifiuti speciali non assimilati, in assenza di convenzione con il comune o con l'ente gestore del servizio, si applicano le sanzioni di cui all’art. 256, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152

Gli ermellini, dunque, spiegano che tale principio della norma introduce la regola generale secondo cui ‘non si tiene conto’ nella determinazione delle superfici assoggettate alla TARI di quelle parti ove si formano ‘in via prevalente e continuativa’ rifiuti speciali, sulla base del presupposto che al loro smaltimento deve provvedere il produttore.

In aggiunta, viene altresì previsto che il regolamento comunale debba indicare le aree laddove si producono rifiuti speciali non assimilabili ai rifiuti urbani, nonché ‘i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive’.

Dunque, la legge individua un collegamento fra le aree produttive ed i locali adibiti a deposito di materiali che consente l’assimilazione dei secondi alle prime, ai fini dell’esonero dall’imposta, basato su quattro presupposti:

- che il collegamento sia funzionale;

- che il collegamento sia esclusivo;

- che in essi debbono prodursi, in via prevalente e continuativa, rifiuti speciali;

- che il produttore provveda al trattamento dei rifiuti speciali ivi prodotti in conformità con la normativa vigente.

Nel caso in esame, il magazzino deve, quindi, essere, prima di tutto, ‘servente’ rispetto all’opificio, in secondo luogo ‘esclusivamente connesso all’attività produttiva’, ovverosia non adibito ad altro, in terzo luogo, consistere in un’area ove si producono, così come per i locali produttivi in senso stretto, rifiuti speciali, in modo stabile e del tutto preponderante rispetto ai rifiuti urbani assimilabili.

Si ribadisce che l’assoggettamento alla parte variabile dell’imposta (essendo sempre dovuta quella fissa, circostanza questa non contestata dalla ricorrente) è dunque condizionato non alla semplice denominazione del locale, ma alle sue caratteristiche concrete ed all’esistenza o meno del suo collegamento funzionale ed esclusivo con l’attività produttiva.

Qui si richiama anche l’interpretazione della disposizione di cui all’art. 1 comma 649 della l. 147 del 2013, fornita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Risoluzione n. 2/DF del 9 dicembre 2014, in risposta ad un quesito sull’assoggettabilità alla TARI di aree scoperte e capannoni adibiti a stoccaggio di materie prime, magazzini intermedi di produzione e magazzini di stoccaggio dei prodotti finiti.

Il MEF ha, infatti, affermato che ‘Il primo periodo del comma 649 della legge m. 147 del 2013 deve essere raccordato con il terzo periodo dello stesso comma che attribuisce ai comuni il compito di individuare con regolamento le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e merci funzionalmente es esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione’ in quanto “la previsione del primo periodo è finalizzata a dettare un principio generale rispetto a quanto dettato nel terzo periodo” e di conseguenza il potere previsto in capo ai comuni ‘è esercitato nel solo ambito in cui è consentito’. Si realizzerebbe altrimenti ‘una ingiustificata duplicazione di costi, poiché i soggetti produttori di rifiuti speciali, oltre a far fronte al prelievo comunale, dovrebbero anche sostenere il costo per lo smaltimento in proprio degli stessi rifiuti’.

Importante ricordare che, in tema di onere probatorio, incombe sul contribuente la prova del collegamento funzionale e continuativo dei magazzini (siano essi di stoccaggio di merci e materie prime da lavorare, intermedi di produzione o finali di prodotti finiti), nonché la prova della prevalenza e continuità della produzione di rifiuti speciali e del loro smaltimento o trattamento a carico del produttore (cfr. sul generale principio che pone in capo al contribuente l’onere probatorio circa la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione della parte variabile del tributo: Cass. Sez. 5, del 6/07/2022 n. 21335, nonché ancora Cass., Sez. 5, del 28/03/2023, n. 8753 e n. 8754).