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TARI e rifiuti speciali: distinzione quota fissa e quota variabile

Nell’ Ordinanza n. 21976 del 30/07/2025, argomentata nella nostra precedente news, i giudici della Suprema Corte hanno sottolineato che (in tema di TARES) la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all'area principale e purché non siano operative; laddove l'operatività consiste nell'idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all'area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un'ulteriore estensione dell'attività svolta.

Riteniamo non trascurabile l’esame che i giudici hanno fornito in relazione all’art.1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ha, in effetti, una struttura tripartita in quanto contempla:

a) superfici che vengono detassate perché ivi «si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali» (sempreché oggetto di «trattamento in conformità alla normativa vigente» da parte del relativo produttore»);

b) superfici di produzione di rifiuti speciali assimilati agli urbani, che usufruiscono di una riduzione della quota variabile del tributo in proporzione «alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati»;

c) (ancora una volta) superfici oggetto di detassazione perché costituite da «magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di (…) attività produttive» di rifiuti speciali non assimilabili (magazzini, questi, cui «si estende il divieto di assimilazione»). (Cass., Sez. Trib., 14 maggio 2025 n. 12902).

Quindi la formazione «continuativa e prevalente» di rifiuti speciali dà senz’altro titolo alla detassazione, il collegamento di magazzini di materie prime e di merci alle aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili deve risultare strettamente funzionale, ed esclusivo, di modo che non possa concepirsi una loro utilizzazione (e la loro stessa esistenza) in assenza di quelle aree di produzione dei rifiuti speciali; e con la conseguenza che l’autonoma (ed ulteriore) produzione di rifiuti, per lo svolgimento di specifiche attività nei magazzini così considerati, ne ascriverebbe il regime a quello previsto nelle precedenti disposizioni (di detassazione o di riduzione tariffaria), secondo la rispettiva connotazione qualitativa (di assimilabilità o meno) e quantitativa (in termini di continuità prevalente o meno) dei rifiuti (così) ulteriormente prodotti.

I giudici hanno ricordato che il Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 dicembre 2014, nella risoluzione n. 2/F, sia pure con specifico riguardo alla sfera industriale, ha chiarito che i magazzini intermedi di produzione ed i magazzini adibiti allo stoccaggio di prodotti finiti devono essere considerati esenti da TARI, a prescindere dall’intervento regolamentare del Comune, e che le aree scoperte asservite al ciclo produttivo che danno luogo alla generazione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali non assimilabili. Per cui, anche con riferimento alle aree adibite a parcheggio, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, che, nell'escludere dall'assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti - fra l'altro - «per il particolare uso cui sono stabilmente destinati», esige che sia provata da contribuente non solo la stabile destinazione del locale o dell'area ad un determinato uso (nella specie, il parcheggio di automezzi), ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti.

Evidenziamo un altro punto sul quale la Suprema Corte si è soffermata, vale a dire che non ritiene condivisibile la tesi, sostenuta in dottrina, secondo cui, in base al dettato normativo dell’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 “Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani”, nella determinazione delle superfici assoggettabili alla TARI non si deve tenere conto di quelle ove si formano i rifiuti speciali, senza operare alcuna distinzione tra quota fissa e variabile.

Preso atto che al successivo comma 651 della suddetta Legge si stabilisce che “Il comune nella commisurazione della tariffa tiene conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158”.

E’ proprio al d.P.R 158/1999 che si deve fare riferimento, più specificatamente all’art 3, nel quale si stabilisce la determinazione della tariffa: “Sulla base della tariffa di riferimento di cui all'articolo 2, gli enti locali individuano il costo complessivo del servizio e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. (comma 1)

La tariffa è composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione. (comma 2)

Le voci di costo da coprire rispettivamente, attraverso la parte fissa e la parte variabile della tariffa sono indicate al punto 3 dell'allegato 1». (comma 3)

La Corte evidenzia che nell’allegato, al punto 3, relativo a “Suddivisione della tariffa in parte fissa e parte variabile” si stabilisce testualmente: «Secondo quanto disposto al comma 4 dell'articolo 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione. La Tariffa si compone quindi di due parti:….La parte fissa (…) deve coprire i costi indicati nella seguente equivalenza (…). Gli enti locali che conferiscono a smaltimento i rifiuti indifferenziati presso impianti di terzi richiedono che il soggetto gestore dell'impianto evidenzi, all'interno del prezzo richiesto, la quota relativa ai costi riconducibili all'impiego del capitale (..), al fine di attribuirli nella parte fissa della tariffa. La parte variabile (…), invece, dipende dai quantitativi di rifiuti prodotti dalla singola utenza».

Ciò vuol dire che, nel sistema delineato dal legislatore, la quota fissa e la quota variabile devono coprire integralmente i costi sopportati per la gestione del ciclo dei rifiuti, sia per gli investimenti effettuati sia per l’esercizio del servizio. Inoltre, sempre secondo quanto si ricava dalla norma, la quota fissa incide in misura predeterminata, avendo la funzione di assicurare la copertura degli investimenti, laddove la quota variabile è determinata per ciascuna tipologia di utente in ragione della quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fruito e così via.

Gli ermellini affermano che sarebbe, per vero, del tutto illogico esentare dal versamento della quota fissa un operatore economico che, comunque, per conferire sicuramente al servizio pubblico almeno una parte dei rifiuti prodotti (quelli derivanti da uffici e servizi), ritrae dagli investimenti eseguiti per la gestione del ciclo dei rifiuti una indubbia utilità. Diversamente opinando, la norma non potrebbe andare esente da concreti dubbi di illegittimità costituzionale per violazione degli art. 3 e 53 Cost., risultando del tutto irrazionale una disposizione che esentasse totalmente dal pagamento della TARI soggetti che, comunque, fruiscono del relativo servizio. E ciò tanto più se si considera che per legge (art. 1, comma 654, della legge 27 dicembre 2013, n. 147) deve in ogni caso essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, e che, conseguentemente, la parte di quota fissa non gravante sui produttori anche di rifiuti speciali finirebbe per ricadere sulle altre utenze ed specialmente sulle utenze domestiche (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. Trib., 15 maggio 2024, n. 13455).