TARI: produzione contestuale di rifiuti speciali e rifiuti urbani
Con Ordinanza n. 21976 del 30/07/2025, la Corte di Cassazione si è espressa sulla controversia nata a seguito dell’emissione di avvisi di accertamento TARI da parte dell’Ente impositore, relativi agli anni 2015, 2016, 2017, 2018 e 2019, per infedeltà della dichiarazione del 31 marzo 2016 (con riguardo all’indicazione della sola superficie dei locali adibiti ad uffici e servizi per mq. 82 per l’assoggettamento a tributo ed alla esenzione della superficie dei locali adibiti ad opificio per mq. 2.000 e di un’area scoperta pertinenziale all’opificio con destinazione a parcheggio per mq. 3.000), in riferimento ad uno stabilimento per la produzione di cartone fibrato per calzature.
I giudici del secondo grado di giudizio aveva riformato la decisione di prime cure - che aveva respinto i ricorsi originari della contribuente – sul presupposto che:
a) la natura di “atti impositivi in rettifica”, con cui il Comune aveva ricalcolato, senza bisogno di alcun accertamento in loco, le maggiori superfici - a suo dire - soggette a tributo, dimostrava che la contribuente aveva assolto gli oneri dichiarativi e dimostrativi previsti a suo carico dalla disciplina sulla TARI;
b) in tale quadro fattuale, risultava errata in diritto la tesi dell’ente impositore, secondo cui la sola superficie dello stabilimento sottratta al prelievo sarebbe quella «fisicamente ingombrata da impianti/macchinari»;
c) una volta chiarito che nella determinazione della superficie imponibile non bisognava tener conto della parte di essa in cui si formano in via prevalente rifiuti speciali smaltiti in proprio dal produttore e, dunque, della superficie adibita allo svolgimento di “lavorazioni industriali”, non aveva alcun senso distinguere tra locali interni ed aree esterne, in quanto anche queste ultime, se adibite ad attività costituenti parte del ciclo di lavorazione industriale dell’azienda risultavano inscindibilmente connesse con la lavorazione industriale di riferimento;
d) nel caso di specie, tale situazione di esclusione sussisteva, oltre che per i locali adibiti a lavorazione industriale, anche per le aree di manovra degli autocarri, di carico e scarico e di immagazzinamento delle materie prime e dei prodotti finiti.
Secondo l’Ente i giudici avevano escluso, contravvenendo alla normativa vigente, la tassabilità dei locali e delle aree esterne accessorie a locali tassabili destinate alla sosta dei mezzi di carico e scarico di materie prime e prodotti finiti, richiamando la normativa di cui al capo di impugnazione e precisamente l’art. 1, commi 649 della Legge 27/12/2013 n. 147, e dunque errando e falsando l’interpretazione della norma.
A suoi dire, infatti l’Ente evidenziava che le aree erroneamente detassate, destinate a parcheggio oltre che operative risultavano essere produttive di rifiuti e caratterizzate dalla presenza dell’uomo.
"La tesi sostenuta dall’ente impositore – e condivisa dal giudice di prime cure - è che l’esenzione prevista per la TARI dall’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (sulla falsariga dell’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, per la TARSU, e dell’art. 14, comma 10, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per il TARES), riguarderebbe soltanto le aree fisicamente occupate dagli impianti e dai macchinari, ma non anche tutti i locali destinati alle lavorazioni industriali e tutte le aree esterne non edificate destinate alla viabilità e alla sosta dei mezzi di carico e scarico di materie prime e prodotti finiti".
I giudici della Suprema Corte hanno sottolineato che si può ritenere, in linea di principio, che la destinazione di locali o aree alla produzione di rifiuti speciali nell’esercizio di attività agricole, commerciali, industriali o artigianali è rilevante ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, anche quando tali attività possano comportare, nei medesimi spazi, la generazione collaterale, accidentale o occasionale, di rifiuti urbani da imputarsi alla indispensabile ed inevitabile presenza del personale addetto alle mansioni concorrenti alla produzione di rifiuti speciali.
In definitiva, il citato art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, richiede, puramente e semplicemente, che le superfici in questione siano destinate ad attività produttive di rifiuti speciali, al cui esercizio necessariamente partecipano i collaboratori dell’imprenditore (individuale o collettivo) contribuente, a prescindere dall’eventuale concomitanza della formazione di rifiuti urbani.
In altri termini, secondo la previsione legislativa, la presenza umana è ordinariamente insita nel processo produttivo di rifiuti speciali, che rappresentano il residuato o lo scarto fisiologico delle attività imprenditoriali. Per cui, non occorre una prova ulteriore (negativa) per escludere che i lavoratori impegnati nell’esercizio delle attività agricole, commerciali o industriali generino anche rifiuti urbani nell’ordinario esercizio delle loro mansioni. Ciò in quanto i rifiuti urbani generati in occasione ed a causa dell’esercizio di attività agricole, commerciali, industriali o artigianali non vengono in autonoma e separata considerazione ai fini dell’esclusione dalla TARI delle superfici destinate alla produzione di rifiuti speciali.
A tal proposito, questa Corte non ha mancato di precisare che l’art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (ma con la formulazione di principio estensibile all’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell'ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producano rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari, l'esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali, incombendo all'impresa contribuente l'onere di fornire all'ente impositore i dati relativi all'esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile (Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2012, n. 5177; Cass., Sez. 5^, 13 settembre 2017, n. 21250).
Più specificamente, si è detto che il connotato di generalità della tassa di cui si discute, ai sensi dell’art. 61, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e l'espressa previsione del comma 3 della medesima disposizione, valgono ad affermare che la produzione di rifiuti speciali non integra un elemento escludente la produzione di rifiuti solidi urbani. È ben possibile, quindi, in base alla norma, la coesistenza della produzione dei due tipi di rifiuti, giacché la norma risolve giustappunto il problema relativo alla determinazione della tassa per i rifiuti urbani prendendo in considerazione un criterio allocativo spaziale (id est, la destinazione della superficie dell'immobile).
In questo senso la regola è che, ai fini della determinazione della superficie tassabile, non deve tenersi conto «di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali o per destinazione si formino, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi», fatto salvo l'esercizio del potere di assimilazione del comune per quanto riguarda i rifiuti speciali. La legge richiede, ai fini dello scorporo delle superfici da quelle tassabili, sia l'esistenza di caratteristiche strutturali o di destinazione del locale, sia il fatto che in esso si producano «di regola» rifiuti speciali, requisito quest'ultimo che non è integrato dalla mera occasionalità o possibilità, ma presuppone che il rifiuto speciale costituisca il prodotto normale e ordinario dell'attività ivi svolta (Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2014, n. 16858).
Dunque, la produzione contestuale di rifiuti speciali e rifiuti urbani nell’esercizio della medesima attività agricola, commerciale industriale o artigianale non esclude che il contribuente possa beneficiare dell’esenzione ex art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (e quindi, anche ex art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), ma pone soltanto un onere informativo a suo carico circa l’esatta estensione delle superfici produttive dei distinti tipi di rifiuti, restando soggetto al tributo per la superficie produttiva di rifiuti urbani.