Visti:
-l’art. 4, comma 1, D.L. 50/2017;
-l’art. 1, comma 63, L. 213/2023;
-l’art. 53, comma 1, L. 165/2001;
-Sentenza Corte di Cassazione 13/01/2016 n. 3085
Ci pregiamo di osservare quanto segue.
La definizione di affitti brevi si configura all’articolo 4, comma 1 del Decreto Legge del 24/04/2017 n. 50 il quale enuncia che “Ai fini del presente articolo, si intendono per locazioni brevi i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell'esercizio di attività d'impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare”.
Solitamente l’iscrizione può essere effettuata da un unico gestore il quale ottempera a tutti gli obblighi normativi della struttura e ne risulta il responsabile. Per quanto concerne le soglie da tenere in considerazione per le locazioni brevi, si sottolinea che fino a quattro appartamenti l’attività non è considerata svolta in forma imprenditoriale e perciò occorre rispettare quanto previsto dal comma 2 dell’articolo citato pocanzi modificato a partire dall’anno 2024 dall’articolo 1, comma 63 della Legge 213/2023 il quale prevede che “Ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve si applicano le disposizioni dell' legge 21 giugno 2017, articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 , con l'aliquota del 26 per cento in caso di opzione per l'imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca. L'aliquota di cui al primo periodo è ridotta al 21 per cento per i redditi derivanti dai contratti di locazione breve relativi a una unità immobiliare individuata dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi.” chiarendo che per un unico appartamento concesso in locazione breve è applicabile la cedolare secca del 21%, mentre dal secondo al quarto appartamento l’aliquota è pari al 26%. Oltre le quattro unità gestite l’attività è da considerarsi in forma imprenditoriale. Per quanto riguarda il corrispettivo non vi sono importi minimi e massimi come si possono configurare in tipologie di affitti come il canone concordato. Sulla suddivisione dei compensi l’ordinamento italiano non ha norme specifiche, per cui in passato si è dovuto procedere per assimilazione prendendo in considerazione i commi 1 e 2 dell’articolo 26 del TUIR, i quali trattano delle modalità di attribuzione del reddito fondiario figurativo di un immobile in comproprietà, la cui imputazione prescinde dall’effettiva percezione di compenso. Il comma 1 dell’articolo 26 del TUIR stabilisce che “i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà”, e il successivo comma 2 definisce che “nei casi di contitolarità della proprietà o altro diritto reale sull'immobile o di coesistenza di più diritti reali su di esso il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto per la parte corrispondente al suo diritto”. I due commi, letti in modo congiunto ed estensivo, erano applicati per assimilazione e per prassi anche alla locazione di un immobile in comproprietà. Il reddito veniva ripartito tra i comproprietari, in proporzione alle percentuali di possesso, a prescindere dell’effettiva percezione del canone. Ad oggi l'orientamento interpretativo dato dalla Cassazione è cambiato, secondo la sentenza 3085 del 2016 l'articolo 26 del Tuir deve essere letto in correlazione con il precedente articolo 25, il quale definisce i redditi fondiari identificandoli in quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti nel catasto. Tali redditi sono quantificabili sulla base delle risultanze catastali, pertanto, sono oggetto di imposizione non in ragione del criterio dell'effettiva ricchezza prodotta, bensì del criterio dell'astratta potenzialità a produrre reddito, a prescindere dal concreto realizzarsi del reddito stesso e dalla sua reale entità. Quindi ad avviso della Cassazione, il motivo per il quale nell'articolo 26 del Tuir è adoperata la locuzione “indipendentemente dalla percezione” è dato dall'esigenza di indicare il criterio del concorso di detti cespiti alla formazione del reddito complessivo dei soggetti che li possiedono, ma non quella di identificare i soggetti ai quali tali redditi devono essere imputati escludendo i “redditi derivanti da contratto di locazione”. In definitiva viene stabilito in linea di principio, il concetto che, nel caso in cui un soggetto, comproprietario di un immobile, si qualifichi come unico proprietario e percepisca per intero il canone d’affitto, sia questo l’unico titolare dell’obbligazione tributaria. Si pensi solo agli obblighi dichiarativi dell’Imposta di Soggiorno la cui responsabilità è in capo al soggetto gestore.
Per quanto riguarda il periodo temporale delle locazioni, essendo affitti brevi, l’importante è che non superino i 30 giorni per ogni ospite altrimenti cambierebbe la tipologia di contratto fra le parti. Non esiste un periodo minimo o massimo di locazione dell’immobile, ipoteticamente si potrebbe affittare per 365 giorni l’anno a soggetti diversi come si può notare anche dalle possibilità di prenotazione fornite dai portali dedicati agli affitti brevi.
Infine, pur non essendo un’attività svolta in forma imprenditoriale, trattandosi di un solo appartamento, a parere di chi scrive è prudente e consigliabile informare comunque formalmente l’Amministrazione, tenuto conto che, secondo i principi sanciti dall’articolo 53 del Decreto Legislativo 165/2001, il dipendente pubblico è tenuto ad osservare il dovere di esclusività nei confronti della Pubblica Amministrazione che avrà il dovere di valutare eventuali incompatibilità tra l’attività del dipendente all’interno del Comune e l’attività di gestore.