← Indietro

TARI e la capacità di produrre rifiuti

Con Sentenza 30 settembre 2025, n. 7614 il Consiglio di Stato, sezione V, in materia di TARI, ha puntualizzato che “la assimilazione o la distinzione tra le categorie di attività assoggettate al tributo in materia di rifiuti urbani, come, nel caso di specie, tra attività di agriturismo e attività alberghiera, non può essere fondata sulle differenze di disciplina normativa cui le diverse attività sono assoggettate dall'ordinamento generale o sulla diversa natura giuridica dei soggetti che esercitano dette attività, come erroneamente ritenuto dalla sentenza appellata, ma va unicamente basata sulla capacità di produrre rifiuti”.

Nel caso analizzato, un contribuente aveva presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale per richiedere l’annullamento della delibera di approvazione del regolamento per l’applicazione della TARI, limitatamente al punto in cui si equipara l’attività di agriturismo all’attività alberghiera. L’Ente impositore, con appello in trattazione, chiedeva la riforma della sentenza.

Nel primo grado di giudizio, il giudice ha affermato che tale equiparazione non sarebbe consentita dall'art. 1, commi 639 e 651, della Legge n. 147 del 2013, in quanto l'ordinamento distingue espressamente le attività alberghiere da quelle proprie di un agriturismo sia dal punto di vista dello statuto imprenditoriale e delle finalità dell'attività, sia dal punto di vista dell'ordinamento del turismo (in questo senso si cita anche C.d.S., Sez. V, 19 febbraio 2019, n. 1162), per cui sarebbe illegittima qualunque forma di assimilazione o di equivalenza tra le due fattispecie anche ai fini del tributo in materia di servizio di gestione dei rifiuti urbani.

In aggiunta, nel caso di specie, il contribuente risultava essere un soggetto passivo con qualità di imprenditore agricolo ai sensi dell'art. 2135 c.c. che aveva annesso, alla prevalente attività agricola e vinicola, un'attività ricettiva con posti letto e con la possibilità di servire solo pasti freddi, con esclusione di attività di cucina, per cui, il giudice aveva ritenuto palese come la finalità ricettiva dovesse essere ritenuta del tutto accessoria, occasionale e di supporto alla azienda agricola ed alla commercializzazione dei prodotti di quest'ultima.

L’Ente impositore, dal canto suo, contesta soprattutto l’erronea affermazione di illegittimità dell'equiparazione tra attività agrituristica ed esercizi alberghieri, riprendendo anche quanto già affermato dalla Cassazione, che ritiene che l'attività dell'agriturismo - sotto il profilo della elencazione delle categorie di attività commerciali recanti una omogenea potenzialità di produzione di rifiuti - andrebbe considerata quale mera attività para-alberghiera, per cui sarebbe legittima la deliberazione consiliare comunale nella parte in cui ha disposto la assimilazione degli agriturismi rispetto agli esercizi alberghieri; mentre, sotto altro profilo, spetterebbe al titolare di attività agrituristica la prova della mera complementarietà dei servizi offerti sotto forma di ospitalità rispetto alla attività agricola, prova che peraltro, nel caso di specie, il ricorrente in primo grado non avrebbe fornito.

Il Consiglio di Stato ha sottolineato come sia fondamentale, in questo caso, attenersi alla complessiva finalità della disciplina della TARI, la quale si basa essenzialmente sul presupposto del tributo costituito dalla capacità di produzione di rifiuti urbani delle unità di superficie tassabili, come si ricava dall'art. 1, commi 641 e 642, della l. 27 dicembre 2013, n. 147, che fa riferimento ai «locali o aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani».

Anche la possibilità per i comuni, di introdurre distinte categorie tariffarie «in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte», da esercitare con il regolamento comunale di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997, è sempre strettamente agganciata alla finalità essenziale della tassa comunale per il servizio di gestione dei rifiuti urbani, ossia la idoneità delle superfici tassabili a produrre rifiuti (art. 1, comma 652, della citata l. n. 147 del 2013: «Il comune [...] può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti»).

Dunque, si ritiene legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe TARI che prevede una classificazione in distinte categorie degli esercizi alberghieri e delle civili abitazioni, e che applichi ai primi una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime.

Criterio questo sostenuto dalla giurisprudenza di Cassazione che considera fondamentale equiparare o distinguere le categorie ai fini della determinazione della tariffa, basandosi sull’idoneità delle singole attività a produrre rifiuti (secondo indici quantitativi o qualitativi).

Riprendendo una delle ordinanze della Corte di Cassazione (n. 20464 del 21 luglio 2025), i giudici hanno sottolineato che «la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal d.lgs. n. 22 del 1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell'attività, il quale può eventualmente dar luogo all'applicazione di speciali riduzioni d'imposta, rimesse alla discrezionalità dell'ente impositore, mentre i rapporti tra le tariffe, indicati dall'art. 69, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993 [la fattispecie decisa riguardava la Tarsu per l'anno 2010] tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica».

Qui i giudici, nel formulare la loro decisione, hanno suggerito che nel caso in cui l’attività di agriturismo sia connessa all'attività agricola, svolta in maniera prevalente dal ricorrente, l’incertezza della determinazione del tributo si può risolvere attenendosi alle superfici dichiarate distinte tra le superfici (aree scoperte o locali) sulle quali sono esercitate le due attività (agricola e agrituristica), alle quali saranno applicate le differenti tariffe sulla base delle diverse categorie del regolamento comunale alle quali ciascuna è riconducibile (tenuto conto che anche l'attività agricola, se rientra nei limiti territoriali di applicazione della tassa comunale, e se produce rifiuti urbani, è anch'essa assoggettata al tributo comunale, salvo norme speciali di agevolazione o esenzione, anche di fonte regolamentare: cfr. art. 1, comma 659, della l. n. 147 del 2013).

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciandosi sull'appello, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale rigetta il ricorso di primo grado.