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TARI: magazzini e imballaggi terziari

La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 8844 del 03/04/2025, ha ribadito che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), un'area che non sia destinata a lavorazioni artigianali e, dunque, alla produzione di rifiuti speciali, ma sia usata come magazzino dei rifiuti prodotti in altri locali dell'unico complesso aziendale, va compresa nel calcolo della superficie tassabile, ai sensi dell'art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, atteso che i residui prodotti in un deposito o magazzino non possono essere considerati residui di un ciclo di lavorazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26725 del 22/12/2016).

I fatti di causa narrano di una società che impugnava, dinanzi alla Corte di Giustizia tributaria di primo grado, un avviso di accertamento con il quale l’Ente impositore aveva richiesto il pagamento Tari per l’anno 2017, trascurando il fatto che Essa producesse prevalentemente rifiuti non assimilabili (imballaggio terziario) smaltiti in proprio e che le superfici del capannone occupate dagli scaffali e dal magazzino, perché improduttive di rifiuti per loro natura, non dovevano essere considerate superfici tassabili.

La società sosteneva che i propri prodotti fossero da considerare imballaggi terziari, siccome formati nell’esercizio dell’attività di stoccaggio della merce in entrata e spedizione della merce in uscita. Ma, nelle proprie motivazioni di difesa, è la stessa contribuente ad ammettere che una scatola di cartone può essere un imballaggio addirittura primario “se costituisce l’imballo venduto al consumatore finale insieme al prodotto”.

Nel primo grado di giudizio, i giudici avevano rigettato il ricorso, rilevando che i rifiuti avviati dalla contribuente al recupero a proprie spese erano da considerarsi esclusivamente rifiuti da imballaggio secondario, legittimamente assimilati a quelli urbani dal regolamento comunale, e che le aree adibite a magazzino erano tassabili.

In aggiunta, i giudici di secondo grado evidenziavano che l’avviso era sufficientemente motivato e che i rifiuti da imballaggio prodotti nel sito erano sicuramente di natura secondaria ed assimilati agli urbani in virtù della deliberazione del Consiglio Comunale, che la zona adibita a magazzino e scaffalatura era tassabile, essendo i magazzini destinati al ricovero dei beni strumentali o delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio, e che, quanto alle altre aree dello stabilimento, la società non aveva fornito alcuna prova dell’effettiva loro destinazione ad attività non produttive di rifiuti urbani o ad essi assimilabili.

La ricorrente società propone ricorso per cassazione.

La Suprema Corte, nella propria decisione, ha sottolineato che la produzione di imballaggi terziari non comporta la totale detassazione dei locali quando questa si accompagna a quella di rifiuti assimilati, ma attribuisce, semmai, un beneficio fiscale che dà luogo ad una riduzione della superficie soggetta ad imposizione per la formazione di rifiuti speciali ovvero ad una riduzione tariffaria, sulla base di un diverso modello operativo introdotto dal regolamento comunale, prevista in un limite massimo percentuale del tributo relativo alla predetta superficie, al fine di non gravare il contribuente, che provvede allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali, del costo ulteriore della relativa tassazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21146 del 29/07/2024).

Va, in proposito, ricordato che il presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani, secondo l'art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, è l'occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti: l'esenzione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate perché ivi si producono rifiuti speciali, come pure l'esclusione di parti di aree perché inidonee alla produzione di rifiuti, sono subordinate all'adeguata delimitazione di tali spazi ed alla presentazione di documentazione idonea a dimostrare le condizioni dell'esclusione o dell'esenzione; il relativo onere della prova incombe al contribuente (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17703 del 02/09/2004; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 13086 del 01/06/2006, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17599 del 29/07/2009; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11351 del 06/07/2012, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5377 del 04/04/2012, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4793 del 11/03/2016). In particolare, i rifiuti degli imballaggi terziari e di quelli secondari, per i quali non sia stata attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati ai rifiuti solidi urbani, ma sono assoggettati ad una speciale disciplina che prevede il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, con la conseguenza che i regolamenti comunali che abbiano proceduto ad una tale assimilazione, vanno disapplicati, in parte qua, dal giudice tributario. Ciò non comporta, però, che tali categorie di rifiuti siano esenti dal tributo, dovendosi applicare ad esse la disciplina per i rifiuti speciali dall'art. 62, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, per cui potranno essere escluse dalla superficie imponibile quelle parti dell'immobile nelle quali il contribuente provi essere esclusivamente prodotti gli imballaggi medesimi (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 627 del 18/01/2012).

In tema di tasse per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), vanno assoggettati all'imposta, ai sensi dell'art. 62 del d.lgs. 16 novembre 1993, n. 507, i magazzini destinati al ricovero dei beni strumentali o delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio di beni produttivi (non potendo considerarsi residui di un ciclo di lavorazione), che concorrano all'esercizio dell'impresa, e vanno conseguentemente riguardati come aree operative idonee a produrre rifiuti, al pari degli stabilimenti o dei locali destinati alla vendita ove si producono rifiuti solidi urbani (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2814 del 11/02/2005; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19720 del 17/09/2010), non rientrando la funzione - generica ed operativa - di magazzino nelle esenzioni previste dall'art. 62 d.lgs. n. 507 del 1993 (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 34299 del 15/11/2021).

Nel caso di specie, la società ricorrente non aveva presentato alcun elemento istruttorio oggettivo dal quale si sarebbe potuto dedurre che laddove sono presenti scaffali e la meccanizzazione del magazzino non si sarebbero dovute considerare aree calpestabili, con conseguente esclusione pressoché integrale della presenza umana.

E’ doveroso ricordare che la condizione di impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti, e non da come il soggetto organizza e utilizza i proprio locali, laddove la funzione di magazzino, deposito o ricovero è una funzione operativa generica, come tale non rientrante nella previsione legislativa di cui all’art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993.

In quest’ottica, la superficie destinata ad autorimessa o a magazzino, essendo potenzialmente idonea alla produzione di rifiuti urbani, va computata ai fini della determinazione della parte fissa dell'imposta, a prescindere dalla mancata produzione in concreto dei rifiuti o dalla mancata fruizione del servizio pubblico ad essi dedicato, condizioni che è il contribuente a dover provare. (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 8753 del 28/03/2023).

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